Scoperto un meccanismo alla base dell’interazione tra il sistema immunitario e l’ipertensione

La proteina 1 ricca di cisteina (CRIP1) può influenzare l’interazione tra il sistema immunitario, in particolare i monociti, e la patogenesi dell’ipertensione, secondo uno studio pubblicato su Clinical Science.


L’ipertensione è una malattia complessa e multifattoriale causata da fattori ambientali e dello stile di vita, infiammazione e fattori genetici correlati alla malattia, ed è un fattore di rischio per ictus, cardiopatia ischemica e insufficienza renale. Sebbene i monociti circolanti e i macrofagi tissutali contribuiscano alla patogenesi dell’ipertensione, i meccanismi sottostanti sono poco conosciuti.


“CRIP1 è altamente espressa nelle cellule immunitarie. L’espressione dell’mRNA di CRIP1 nei monociti si associa a variazioni della pressione sanguigna. CRIP1 è sovraregolata dalla modulazione proinfiammatoria, fatto che suggerisce un legame tra CRIP1 e regolazione della pressione arteriosa attraverso il sistema immunitario” spiega Olga Schweigert, dello University Heart & Vascular Center di Amburgo, Germania, prima autrice dello studio.


Per meglio comprendere questa associazione, i ricercatori hanno studiato l’espressione di CRIP1 in relazione alla pressione arteriosa nelle cellule immunitarie di una coorte umana e in modelli murini ipertesi.

Gli esperti hanno trovato che l’espressione di CRIP1 nei monociti e nei macrofagi splenici e nei monociti circolanti è stata significativamente influenzata dall’angiotensina II in una dose in grado di aumentare la pressione arteriosa (2 mg/kg/giorno). Nello studio di coorte sull’uomo, i livelli di espressione di CRIP1 nei monociti sono stati associati a una pressione arteriosa elevata, mentre in seguito alla differenziazione dei monociti in macrofagi questa associazione insieme al livello di espressione di CRIP1 è risultata diminuita.

“I monociti circolanti e splenici positivi a CRIP1 sembrano svolgere un ruolo importante nei processi infiammatori legati all’ipertensione attraverso ormoni endogeni come l’angiotensina II” concludono gli autori.


Fonte: Clinical Science

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