Autolesionismo, stigma nel colloquio con lo psichiatra

Il modo in cui i medici pongono domande a proposito di pensieri suicidari e autolesionismo può influenzare le risposte dei pazienti con problemi di salute mentale.

Uno studio pubblicato sulla rivista Patient Education and Counseling suggerisce infatti che la formulazione delle domande, e allo stigma negativo associato a questi argomenti, può rendere difficile, per i pazienti, il parlare di autolesionismo.


Joseph Ford e Felicity Thomas dell’Università di Exeter, Richard Byng dell’Università di Plymouth e Rose McCabe dell’Università di Londra hanno condotto lo studio analizzando 20 consultazioni videoregistrate che si sono svolte tra il 2014 e il 2015 in cui i medici ponevano ai pazienti domande su autolesionismo e suicidio.


Hanno osservato che i medici erano inclini a porre domande in un modo che spingeva l’interlocutore a rispondere negativamente (un esempio: “non pensi mai di farti del male?”).


Hanno anche riscontrato una tendenza a mettere insieme le domande sul suicidio e quelle sull’autolesionismo e a concentrare la discussione sulle esperienze negative e sulle preoccupazioni del paziente. Inoltre, nella maggior parte dei casi venivano poste domande chiuse, che lasciavano poco spazio all’interlocutore per esprimersi.


Secondo gli autori questi dialoghi potrebbero essere migliorati se i medici ponessero domande aperte e separassero i due temi: suicidio e autolesionismo.


I medici dovrebbero poi incoraggiare la discussione quando le risposte del paziente sono ambigue. “Molti suicidi avvengono a meno di un mese da un incontro con il medico di famiglia”, commenta Ford, “il che mostra quanto siano importanti queste conversazioni”.


Molti medici di base tuttavia, riportano gli autori, trovano queste conversazioni difficili poiché si preoccupano di esacerbare i pensieri di suicidio di un paziente.

“Le persone che fanno pensieri di autolesionismo e/o suicidio non tendono a condividerli con amici o familiari, quindi le conversazioni con i professionisti sono molto importanti”, aggiunge McCabe. I medici dovrebbero quindi porre le domande in modo un po’ diverso, suggerisce il ricercatore. Ad esempio: “A volte le persone che si sentono come si sente lei pensano di farsi del male, le è mai successo?”.


I ricercatori ritengono anche che lo stigma associato a suicidio e autolesionismo potrebbe essere ridotto chiedendo ai pazienti per quali ragioni vuole rimanere in vita, mettendo quindi in luce gli aspetti positivi piuttosto che parlare dell’impatto negativo che il loro suicidio avrebbe su coloro che li circondano.


Fonte: Patient Education and Counseling

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