Coronavirus: meno danni memoria e cognitivi in casi gravi intubati, studio italiano

Ricerca San Raffaele Milano – Fra pazienti passati da riabilitazione deficit per 80% e depressione per 40%


Man mano che la ricerca scientifica avanza, nuovi paradossi di Covid-19 vengono a galla. A segnalare l’ultimo sono ricercatori italiani: a sorpresa, i pazienti più gravi che nella fase acuta sono stati intubati e sedati risultano meno colpiti da problemi cognitivi e di memoria rispetto ai malati ricoverati con il solo supporto di ventilazione non invasiva (come il casco Cpap), rimasti coscienti per tutto il percorso di malattia. Il fenomeno è oggetto di uno studio scientifico pubblicato dagli specialisti dell’Irccs ospedale San Raffaele di Milano sulla rivista ‘Plos One’. 


“I risultati mostrano che l’80% dei ricoverati nella nostra Unità di Riabilitazione Covid-19 infettivi presenta disturbi cognitivi quali alterazioni di memoria, concentrazione, linguaggio” e orientamento “e nel 40% depressione”, spiega Federica Alemanno, responsabile del Servizio di Neuropsicologia dell’Irccs, che ha condotto la ricerca con il coordinamento di Sandro Iannaccone, primario dell’Unità di Riabilitazione disturbi neurologici cognitivi-motori.


“In maniera sorprendente, i pazienti intubati e sedati risultano essere meno compromessi dal punto di vista cognitivo e questo – approfondisce l’esperta – perché i pazienti che invece hanno avuto un’assistenza respiratoria più blanda e quindi sono rimasti coscienti per tutto il percorso di malattia hanno subito maggiormente lo stress prolungato, il distacco dei familiari e le alterazioni dell’ambiente con connessa alterazione del ritmo sonno-veglia”. Un aspetto “importante” da evidenziare, prosegue, “è che questo tipo di risultati dal punto di vista cognitivo e di depressione si mantengono anche a un mese dopo la dimissione, e questo fa luce sulla complessità e sulla varietà anche dal punto di vista della sintomatologia psicologica e cognitiva della sindrome long Covid”. 


Lo studio mostra quindi l’impatto di Covid-19 sulle funzioni cognitive nei pazienti passati all’Unità di Riabilitazione dopo un ricovero in Terapia intensiva e nei reparti di Medicina Covid o Malattie infettive dello stesso Istituto. Il follow-up non solo a un mese dalla dimissione ospedaliera, ma anche a circa 3 mesi dall’esordio della malattia ha evidenziato che la maggior parte dei pazienti presenta ancora deficit cognitivi.


“I nostri dati mostrano in modo certo la necessità di un intervento neuropsicologico riabilitativo precoce, quando ancora il paziente è positivo al Covid-19, ma non più in fase acuta. Ecco perché, già durante i primi mesi della pandemia, il San Raffaele è stato tra i primi ospedali al mondo ad attivare un reparto di riabilitazione per i pazienti Covid-19 ancora infettivi, con lo scopo di recuperare le funzioni neurologiche, oltre che quelle motorie e respiratorie, perse durante la fase acuta della malattia nel più breve tempo possibile”, commentano Iannaccone e Alemanno. 


Circa il 20% dei pazienti ricoverati per Covid al San Raffaele – tra Terapia intensiva, Medicina Covid-19 e Malattie infettive – ha avuto poi bisogno di essere assistito nell’Unità di Riabilitazione Covid-19 dell’ospedale. Stiamo parlando, nel caso della prima ondata della pandemia, di circa 140 pazienti. Lo studio pubblicato su Plos One ne ha coinvolti 87, selezionati nella fase sub-acuta della malattia (circa 10 giorni dopo la comparsa dei sintomi e ancora infettivi) e con un’età media di 67 anni.


Per l’analisi dei dati, i pazienti sono stati separati in 4 diversi gruppi in base al tipo di assistenza respiratoria di cui hanno beneficiato nella fase acuta della malattia: dai pazienti più critici (intubati e ricoverati nell’Unità di Terapia intensiva) a quelli meno critici, che non avevano ricevuto nessuna ossigenoterapia. Degli 87 pazienti, l’80% aveva deficit neuropsicologici e il 40% mostrava una depressione lieve-moderata. I pazienti che avevano beneficiato della ventilazione non invasiva avevano uno stato cognitivo maggiormente compromesso (memoria, attenzione, orientamento, funzioni visuo-spaziali) rispetto a chi, invece, era stato sottoposto a sedazione e intubato. Al follow-up di un mese, oltre il 40% dei pazienti presentava comunque segni di disturbo da stress post-traumatico.


“I risultati del nostro studio mostrano per la prima volta quanto frequentemente si possano osservare deficit cognitivi (a breve e a lungo termine) nei pazienti ricoverati e di come possano essere influenzati dai tipi di assistenza respiratoria, soprattutto nei pazienti anziani”, affermano Alemanno e Iannaccone. “La relativa riduzione di questi disturbi nei pazienti sedati e intubati suggerisce che una delle cause possa essere rappresentata dal vissuto in fase cosciente di tutto il percorso ospedaliero della malattia”. 


“Lo stress emotivo prolungato, i cambiamenti di ambiente connessi all’ospedalizzazione, il distacco dai familiari e l’età avanzata sembrano essere fattori rilevanti che influenzano negativamente lo stato cognitivo dei pazienti”, ribadisce la prima autrice del lavoro Alemanno, sottolineando anche come, “a distanza di tempo dal picco pandemico di marzo dell’anno scorso, possiamo affermare con certezza l’importanza di un approccio precoce e l’importanza di seguire nel tempo questi pazienti”, garantendo loro “un supporto psicologico e di training cognitivo anche a lungo termine nel post-ricovero, possibilmente attraverso l’uso di nuove tecnologie, come la telemedicina”.

Fonte: Adnkronos Salute

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