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Sottoporsi a trapianto riduce aspettativa di vita se si sviluppa un tumore
Rispetto alla popolazione generale, chi si sottopone a trapianto ha un’aspettativa di vita ridotta se sviluppa un tumore, in particolare il cancro ai polmoni e il linfoma non-Hodgkin. È quanto ha evidenziato una ricerca guidata da Anne-Michelle Noone, del National Cancer Institute di Bethsda (USA), e pubblicata su Cancer.
A causa dei trattamenti con farmaci immunosoppressori che devono essere assunti per evitare il rigetto d’organo, chi si sottopone a trapianto ha un rischio maggiore di sviluppare un tumore rispetto alla popolazione generale. Per lo studio, i ricercatori americani hanno raccolto dati dal registro dei trapianti d’organo e da quello dei tumori disponibili negli USA, in un periodo compreso tra il 1987 e il 2014, e hanno quantificato gli anni di vita persi (life-year lost – LYL) a causa del cancro, nei 10 anni successivi al trapianto.
Dall’analisi è emerso che tra quasi 222mila trapiantati, il 6% ha sviluppato un tumore entro 10 anni dal trapianto. Durante questo periodo, gli autori hanno scoperto che si perdeva una media di 0,16 anni di vita a causa del cancro. “Anche se sembra poco, gli anni di vita persi per persona si sono tradotti nell’1,9% di tutti gli anni di vita di questa popolazione in assenza di cancro o nell’11% di tutti gli anni di vita persi dovuti a qualsiasi causa”, hanno scritto gli autori.
Il cancro del polmone e il linfoma non-hodgkin, inoltre, hanno il più alto impatto sugli anni di vita persi dopo un trapianto, responsabili del 39% della perdita di anni totale. Individualmente, una volta che una persone che si è sottoposta a trapianto sviluppa un tumore, perde, in media, quasi cinque anni di vita. Infine, gli anni persi dovuti al cancro aumentano con l’età e i pazienti sottoposti a trapianto di polmone hanno la perdita più alta, seguiti da chi riceve un trapianto di cuore.
“Ci sono possibilità di ridurre la mortalità per cancro e prolungare la vita dei trapiantati attraverso la prevenzione e lo screening. Inoltre, alti livelli di carica del virus Epstein-Barr circolanti possono essere usati come marker del rischio di malattia linfoproliferativa post-trapianto, fornendo possibili opportunità di screening specialmente tra i trapiantati in età pediatrica”, hanno spiegato gli autori, secondo i quali “chi si sottopone a trapianto deve cambiare lo stile di vita, in particolare smettere di fumare, per ridurre la mortalità da tumore”.
Fonte: Cancer
IT-NON-05432-W-09/2023
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